
L’App TO GOOD TO GO (in italiano troppo buono per essere buttato) nasce in Danimarca nel 2015 da un gruppo di waste warriors decisi a salvare l’ambiente innescando un cambiamento di abitudini improntato ad una nuova etica alimentare:
comprare online cibo fresco e di qualità rimasto nei negozi a fine giornata e destinato ad essere buttato.
Come si legge nel sito ufficiale dell’App www.togoodtogo.it la Mission dei fondatori è la seguente:
Ispirare e rendere tutti partecipi della lotta contro lo spreco alimentare. Per mettere in pratica il nostro obiettivo vogliamo tradurre le nostre parole in azioni concrete e contribuire su diversi livelli alla costruzione di un movimento antispreco globale.
Solo nel momento in cui uniremo le forze per combattere insieme gli sprechi, saremo in grado di generare un cambiamento positivo. Per questo abbiamo deciso di focalizzarci su 4 pilastri, le fondamenta della nostra lotta:
– persone
– aziende
– scuole
– politica
Come funziona:
L’app permette di mettere in comunicazione i negozi che possiedono del cibo in scadenza con i consumatori che decidono coscientemente di comprarlo per salvarlo dallo spreco. Il commerciante realizza una scatola magica, chiamata magic box, riempiendola con il cibo di vario genere, sempre di buona qualità. Istantaneamente la magic box viene resa disponibile per l’acquisto.
I numeri dello spreco alimentare
Magari non te ne sarai accorto, ma stiamo accumulando un’enorme quantità di spazzatura! Solo il 44% dello spreco globale si compone di cibo e scarto verde (Banca Mondiale, 2018).
In termini di peso:
- circa un terzo del cibo prodotto per consumo umano in tutto il mondo viene sprecato ogni anno (Gustavsson et al., 2011), il che equivale circa a 1.6 miliardi di tonnellate (BCG, 2018)
- ciò significa che in un anno sprechiamo circa 51 tonnellate di cibo al secondo (BCG, 2018)
- a questo ritmo, lo spreco alimentare aumenterà di un terzo entro il 2030, quando raggiungerà i 2,1 miliardi di tonnellate -l’equivalente di 66 tonnellate sprecate al secondo (BCG, 2018)
In termini di kilocalorie:
- una caloria ogni quattro destinata all’uomo non è consumata (Lipinski et al. 2013)
- ciò significa che circa il 25% delle calorie provenienti dal cibo di tutto il mondo vengono sprecate (Lipinski et al. 2013)
Sprechiamo cibo in tutto il mondo
Nonostante la sopravvivenza dell’umanità dipenda dal cibo, una quantità impressionante di alimenti viene sprecata quotidianamente in ogni angolo del mondo.
Paesi in via di sviluppo
Nei Paesi in via di sviluppo, il fenomeno dello spreco si concentra maggiormente nella prima fase della filiera agroalimentare (soprattutto dopo la raccolta) a causa di condizioni climatiche estreme, ma anche inadeguate tecnologie, infrastrutture di trasporto e strumentazioni di stoccaggio e raffreddamento.
- i Paesi in via di sviluppo sono responsabili del 44% dello spreco alimentare mondiale (Lipinski et al., 2013)
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il 40% dello spreco in queste aree si concentra durante la raccolta e la lavorazione dei prodotti (FAO 2016)
- gli interventi svolti finora in queste aree puntano a sviluppare capacità umane e apportare migliorie tecniche per ridurre lo spreco, oltre ad aumentare l’efficienza e contemporaneamente diminuire l’intensità del lavoro delle tecnologie attualmente in uso (Parfitt et al., 2010)
Paesi sviluppati
Nei Paesi sviluppati, lo spreco alimentare si concentra nelle fasi finali della filiera agroalimentare: le quantità di cibo a disposizione diventano sempre più abbondanti, mentre i consumatori sono sempre più selettivi.
- il 40% dello spreco si concentra in fase di distribuzione e consumo (FAO 2016)
- ogni anno, i consumatori dei Paesi sviluppati sprecano tanto cibo (circa 222 milioni di tonnellate) quanto la produzione netta totale dei Paesi sub-sahariani (230 milioni di tonnellate) (Gustavsson et al., 2011)
- lo spreco pro capite in Europa e in Nord America va dai 95 ai 115 kg l’anno (Gustavsson et al., 2011)
- solo in Europa, si sprecano circa 88 milioni di tonnellate di cibo l’anno (l’equivalente di 173 kg pro capite) (Fusions, 2016)
- il cibo sprecato in molte regioni dei Paesi sviluppati si attesta tra il 15% e il 25% di tutto il cibo disponibile, fatta eccezione per il Nord America e l’Oceania, dove la percentuale sale al 42% (Lipinski et al., 2013)