
Vi siete mai chiesti come è nata la tradizione del luna park in Campo Marzo a Vicenza alla Festa dei Oto? E perché festa dei Oto? E la fritola dea siora Gigia?
Ce lo spiega Paolo Portinari, avvocato e accademico della cucina a Vicenza, che in una sua riflessione ne illustra la storia, tradizioni ed etimologie.
Scrive Portinari: “I Oto, ossia “quelli dell’otto settembre”, sono i contadini, i forestieri o, in ogni caso le persone che da fuori Vicenza si recano nel capoluogo per compiere un rito devozionale, che consta in una salita a piedi, processionale o libera, da Campo Marzo fino al santuario di Monte Berico. Per ossequio i visitatori, nei tempi andati, si vestivano da festa, o, meglio, si mettevano in ghingheri.
Ancora oggi, in tema di eleganza, alla presenza di qualche abbinamento cromatico inappropriato o chiassoso, il vicentino verace commenta: “El me pare vestio come quei dei oto”. Equivalente di tale detto è l’espressione: “El xe propio un faganeo”, in riferimento al fanello, un uccellino dallo sgargiante piumaggio.
Ristorato lo spirito, i fedeli, discesi in Campo Marzo e mescolatisi con la folla, partecipavano ad una tradizionale sagra con intrattenimenti e leccornie. La sagretta, nel tempo, è diventata un vero e proprio luna park, dilatatosi di qualche settimana. Tra le varie proposte alimentari ci sono tuttora i mitici “caramei”, i biscotti “pevarini”, i croccantini alle mandorle, alle nocciole, alle arachidi, gli “spaghi” di liquirizia, lo zucchero filato, oltre ai più recenti “hamburger”, “hot dog”, “panini onti”, “kebab”…
LA FRITOLA DEA SIORA GIGIA
E continua Portinari: “Ma, emblema della festa, ghiottoneria tra le ghiottonerie, svetta, sopra qualsiasi altra prelibatezza, quale fedele alleata di ogni epatologo che si rispetti, l’irrinunciabile “Fritoa dea siora Gigia”, fritta in olio antico, o, comunque, rigorosamente riutilizzato, l’antesignana specialità vicentina, rectius berica, del cibo da strada “de nialtri”. Vale anche per la fritoa quello che si diceva per il goloso mandorlato: “Magneghene, tasteghene, sentighene che bon …. “.
LA RICETTA
Questo il racconto dell’accademico della cucina, l’avvocato Portinari. Ora di seguito una delle ricette da sagra (le quantità sono proporzionali e molte le varianti) che ci passa un “erede” della siora Gigia:
Per realizzarne circa 70 pezzi
2 l di latte
1 l di acqua
1 ½ hg di zucchero
1 ½ hg di sale
3 uova
1 ½ hg di lievito di birra
1 ½ bottiglia di aroma “Spumadoro”
65 g di margarina
2 bustine di vanillina
5 o 6 kg di farina
zucchero a velo o anche semolato
Sciogliere il lievito nell’acqua e far sciogliere la margarina.
Aggiungere alla farina già miscelata coin gli altri ingredienti e continuare a impastare usando il latte fino a ottenere una pasta soda e liscia.
Lasciare lievitare coperto e in luogo tiepido finché avrà raddoppiato il volume.
Fare delle palline grandi come un piccolo pugno e lasciare lievitare un’altra ora circa.
Spianarle e friggerle in olio caldo poche alla volta (meglio 1 alla volta).
Cospargerle di zucchero a velo o semolato a preferenza.
Per saperne di più QUI una bibliografia sulla cucina vicentina. Nei libri citati anche la ricetta originale dea Siora Gigia. In particolare vi sono due libri diversi che hanno lo stesso titolo quello di Gianni Capnist e della figlia Anna Capnist Dolcetta e quello di Antonio Di Lorenzo e Vladimiro Riva. Entrambi si intitolano: “Cucina vicentina”.