
Ci sono quelli che hanno davvero mollato tutto per vivere in un camper. Quelli che lo hanno fatto per un semestre, un anno o due. Quelli che hanno scelto un furgone, lo hanno allestito ma poi sono tornati alle vecchie quattro mura. Quelli da soli o in coppia (la stragrande maggioranza) e quelli con figli al seguito (pochi ma buoni). C’è chi è partito per cambiare vita e chi ha continuato il proprio lavoro da remoto. Ci sono coppie stanziali ed altre che hanno deciso di fermarsi in qualche posto sperduto. C’è davvero ogni genere di persona nel variegato mondo dei fulltimer, e non potrebbe essere altrimenti, dato che la definizione stessa di fulltimer è vaga e ambigua. Su Wikipedia si legge che il:
Fulltiming è un termine usato tra i camperisti e le famiglie che vivono “a tempo pieno” [full time appunto] nel loro camper o RV. Tali individui sono spesso chiamati fulltimers.
E più sotto:
I singoli fulltimer vivono stili di vita diversi. Alcuni possono scegliere di spostare il loro camper da un campeggio ad alto costo a un altro. Alcuni potrebbero fare volontariato o lavorare in un campo di lavoro per scambiare manodopera per un campeggio. Altri potrebbero vivere fuori dalla rete e “boondock” (o “campo asciutto”) a tempo pieno; nel Regno Unito questo è noto come “wildcamping” o “wildparking”.
Da queste premesse, risulta difficile inquadrare una persona che potrebbe essere fulltimer nella pratica ma non nella teoria. Chi utilizza ad esempio un veicolo ricreazionale (RV in inglese) per 10 mesi l’anno e poi per i restanti due torna a casa, è un fulltimer? E chi magari è fulltimer durante la settimana ma nel week end sta con i propri figli perché separato, è un fulltimer? Quello che vive in un camper fermo uscendo al mattino e tornando al lavoro la sera, può essere considerato un degno fulltimer? Domande che non hanno molto senso, nel momento in cui ci fermiamo alle apparenze e alla terminologia. Chi sono quindi realmente i fulltimer? Per capirlo, facciamo un passo indietro nella storia…
Dalle caravan Vardo dei gypsy ai carri Conestoga americani
Tutto ebbe inizio con ogni probabilità nel Medioevo, o forse ancora prima ai tempi dei romani. Semplici vagabondi senza dimora si mettevano in viaggio per trovare lavoro o per raggiungere terre ignote (in questo senso è importante ricordare che esistono anche i fulltimer che scelgono di vivere/viaggiare in barca). Se però dobbiamo fissare a ogni costo un punto di inizio, allora bisogna avanzare di qualche secolo e arrivare alle caravan Vardo del popolo dei Romanichal, un sottogruppo rom del Regno Unito. Pare siano stati loro i primi ideatori delle antenate delle moderne roulotte, unità abitative su quattro ruote trainate all’epoca da uno o più cavalli (tuttora in uso da una piccola percentuale di Romanichal).
Negli stessi anni, ovvero intorno alle metà del 1700, nelle Americhe apparvero le prime testimonianze dei Conestoga, altra tipologia di carro adibito ad abitazione, o per meglio dire adibito al trasporto di quanto occorreva per vivere all’aria aperta (una coperta, stoviglie, indumenti, cibarie, ecc). Con questi carri venne portata a termine in soldoni la conquista del far west, e cioè la colonizzazione degli attuali Stati Uniti e del Canada “occidentalizzato”. Se avete visto un film western, i carri che avanzano nel deserto e vengono presi di mira dagli indiani (nativi) sono esattamente loro: i “conestoga wagon”. Mancava però ancora un elemento fondamentale per spianare la strada al fenomeno dei fulltimer, anzi due: il motore e il petrolio.
Il libro “The Van Dwellers: A Strenuous Quest for a Home” di A. Paine
Come in tutte le epopee, ci sono testi, manuali, saggi o romanzi che segnano un punto di svolta. Molti attribuiscono la nascita del fenomeno dei fulltimer al best seller di Jack Kerouak “On the road”, senza considerare che in quel libro il protagonista alter ego di Kerouak, più che un fulltimer, è uno sbandato alla “Supertramp”, con un bisogno di soldi soddisfatto, oltre che dalle prestazioni sessuali in favore dei camionisti trovati per strada, dalla zia del protagonista stesso (nella realtà la madre). Le basi teoriche del fulltimer contemporaneo sono state gettate in modo forse inconsapevole da un semisconosciuto scrittore, tale Albert Bigalow Paine, collega del molto più famoso (e fortunato) Mark Twain.
Nel 1901 Albert Bigalow Pain scrisse un’opera tuttora pressoché dimenticata, “The Van Dwellers: A Strenuous Quest for a Home”, un resoconto delle condizioni di povertà in cui vivevano alcune persone in difficoltà economica, costrette (o rassegnate) a dimorare in un van. Il termine “van dwellers” entrò a quel punto nel vocabolario comune, per indicare appunto una personale che “vive nel van come posto specifico”. Se vogliamo identificare l’antenato della parola moderna “vanlifer”, bè sicuramente “van dwellers” è il termine più quotato. Lo stesso libro, che trovate in parte qui, sembrerebbe parlare anche di van motorizzati, ma non avendolo letto di persona non me la sento di confermarvelo.
L’hashtag #vanlife e l’epica dei fulltimer sui social media
E arriviamo quindi ai giorni nostri, con la comparsa dei primi fulltimer a bordo di mezzi a quattro ruote come il celebre pulmino Westfalia T3 della Volkswagen. Tra i nomi passati ormai alla leggenda ci sono quelli di Corey ed Emily, fra i primi in assoluto a fregiarsi del titolo di fulltimer e vanlifer. Sebbene l’hashtag #vanlife non sia una loro invenzione, la coppia americana – attraverso i canali del progetto Where is my office now? – è riuscita a celebrare questo stile di vita “alternativo” e valorizzarlo agli occhi di milioni di persone.
Da lì in avanti (più o meno dal 2015 in poi) è iniziata l’epica dei fulltimer, e ormai sono migliaia i giovani e meno giovani che hanno scelto di vivere in van o camper 365 giorni l’anno, raccontando le proprie avventure anche via social media, Youtube o blog. Va da sé che la retorica, come accade sempre quando un fenomeno dilaga, è ormai all’ordine del giorno, con immagini patinate di posti magnifici che sembrerebbero giustificare ipso facto la scelta di essere fulltimer. A conti fatti però, se si guarda dietro le foto di copertina, si scopre che il fulltimer è una persona normalissima, che si porta dietro le contraddizioni e la solitudine dell’uomo contemporaneo, tra propositi e ideali di rivoluzione lungi dall’essere realizzati e una quotidianità abbastanza simile a quella di chi vive, altrettanto semplicemente, fuori città in mezzo ai boschi o in mezzo alla natura.
Che sia moda passeggera o resilienza non sarà il tempo a dircelo, già lo vediamo nelle foto e nei contenuti qualunquisti prodotti dalla gran parte dei fulltimer. Ciò non toglie che la portata di questo fenomeno abbia molto da insegnarci sulle aspettative e le esigenze che un nutrito gruppo di persone, per lo più giovani, sta dimostrando al mondo. Un chiaro segnale che le cose prima o poi dovranno cambiare, magari, perché no, a bordo di un vecchio e adorabile furgoncino. E voi, avete mai incontrato di persona un fulltimer? Vi piacerebbe vivere in un camper per 12 mesi all’anno? Fatecelo sapere nei commenti!