
Demonizzato per anni, ostracizzato dalle tavole per la sua nomea di grasso saturo e poco salubre, ecco che il burro torna alla ribalta, prendendosi una clamorosa rivincita. Tanto che il suo prezzo in Italia è addirittura raddoppiato (+113%), per l’aumento della domanda.
Ma che cosa ha portato a questa riscoperta del re dei condimenti (insieme all’olio di oliva)? Innanzitutto il riconoscimento di positive proprietà salutistiche, soprattutto in alternativa a grassi come l’olio di palma che un numero crescente di grandi gruppi alimentari sta abbandonando. Per dare un’idea del suo rinnovato successo, basti pensare che alla Borsa di Milano il burro pastorizzato ha raggiunto il massimo degli ultimi cinque anni, con un picco di 5,04 euro al chilo. I consumi procapite di burro sono comunque aumentati nel 2016 anche nel resto del mondo: dall’Australia (23%) al Canada (+7%) fino agli Stati Uniti (+2%) dove l’USDA (il Dipartimento dell’Agricoltura degli Usa) prevede per quest’anno un aumento del consumo mondiale di burro del 3%. Il ritorno al burro ha favorito anche tutti i prodotti lattiero-caseari, dalla panna alla crema di latte, dal formaggio al latte. Un segnale importante che può aiutare a sostenere le stalle italiane dopo l’obbligo di indicare in etichetta l’origine, norma entrata in vigore in Italia lo scorso aprile. Il burro si ottiene lavorando energicamente il latte o la panna -operazione definita zangolatura– e quindi è molto facile da produrre. Il burro in realtà ha un contenuto calorico più basso delle varie margarine o dei prodotti simili, circa 720kcal per 100 grammi: i grassi infatti ammontano “soltanto” a circa l’82% del peso del prodotto, con zuccheri e proteine presenti in quantità residuali pari rispettivamente a 0,9 grammi e 0,1 grammi. Praticamente tutte le calorie del burro provengono dal suo contenuto in lipidi, circa 82 grammi, di cui 50 grammi saturi, circa 20 grammi monoinsaturi e appena 3 grammi polinsaturi.